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Gazzetta di Venezia

Vita periodico

1740-1945

Titolo

Gazzetta di Venezia

Luogo di pubblicazione

Venezia

Profilo storico editoriale

All’indomani dell’unificazione del Veneto all’Italia, la “Gazzetta di Venezia” è il più antico e il più prestigioso quotidiano veneto; si definisce, anzi, il più vecchio giornale d’Italia. La sua genealogia è, in verità, variamente interpretata: “Avvisi” e “Gazzette” escono a Venezia fin dalla metà del XVI secolo; è qui che il termine “gazzetta” ha origine, dal nome della moneta con cui veniva pagata, e alcuni studiosi – considerando un po’ forzatamente questi fogli come giornali a tutti gli effetti – si sono spinti a sostenere un primato europeo della città in questo campo. Da parte sua, la “Gazzetta di Venezia” otto-novecentesca si considera erede diretta di una “Gazzetta” uscita per la prima volta all’inizio del 1741, e su cui, in verità, le notizie sono piuttosto incerte; più nota, e regolare nella pubblicazione, la “Gazzetta Veneta” firmata a partire dal 1760 dal conte Gaspare Gozzi, in seguito diretta per qualche anno da un altro letterato di fama come l’abate Pietro Chiari. Con alcune interruzioni e vari cambi di nome (si alternano le definizioni “Veneta” e “di Venezia”, vanno e vengono gli aggettivi “Privilegiata”, “Ufficiale”, “Urbana”) la “Gazzetta” attraversa poi la caduta della Serenissima e gli anni della dominazione austriaca, fino ad arrivare alla rivoluzione del 1848, quando il direttore Tommaso Locatelli, convinto sostenitore di Manin, ne fa il “Foglio uffiziale della Repubblica Veneta”. Sopravvissuto alla restaurazione del 1849, il giornale torna ligio al governo imperiale; anche Locatelli rimane al suo posto, rifiutandosi però di apporvi la sua firma fintanto che a Venezia non tornerà a sventolare il tricolore.
Ma per questo bisogna attendere, come è noto, il 1866: il nome di Locatelli ricompare allora sulla “Gazzetta” a fianco di quello del genero, l’avvocato Paride Zajotti; morto il primo nel 1868, il secondo assume direzione e proprietà del foglio per circa un ventennio. Dopo esser riuscito nell’impresa di mantenersi voce ufficiale o semiufficiale della classe dirigente cittadina attraverso una mezza dozzina di cambi di governo, di bandiera e di regime, l’austero giornale rappresenta ora l’anima conservatrice della Venezia italiana. Posizione, questa, destinata ad accentuarsi ulteriormente quando, morto Zajotti nel 1889, la “Gazzetta” viene acquistata dal conte e deputato Ferruccio Macola, uno degli antesignani del clerico-moderatismo (l’alleanza tra destra liberale e gerarchie ecclesiastiche che avrebbe permesso di superare la frattura risorgimentale del blocco conservatore). Ed è proprio una solida alleanza clerico-moderata – patrocinata dal patriarca di Venezia, e prossimo papa, Giuseppe Sarto – a portare nel 1895 sulla poltrona di sindaco della città il nobiluomo Filippo Grimani: naturale quindi che la “Gazzetta” diventi l’organo ufficioso dell’amministrazione cittadina destinata a durare ininterrottamente per ben 24 anni (Grimani, peraltro, finanziava personalmente il giornale). Macola tuttavia si appresta a restare alla storia, e insieme ad uscire di scena, per un’altra vicenda: nel 1898, a Roma, uccide in duello il leader radicale Felice Cavallotti. La diatriba era nata proprio per alcune notizie pubblicate dalla “Gazzetta” circa l’attività parlamentare di Cavallotti, e ritenute da quest’ultimo calunniose; da qui scambi di ingiurie e di padrini, fino all’anacronistico epilogo. Viste le personalità coinvolte (deputati entrambi i duellanti, deputati persino i quattro padrini) e vista, soprattutto, la popolarità di Cavallotti, il clamore fu enorme – a Venezia ci furono dimostrazioni popolari contro la sede del giornale – e Macola si dimise da deputato per ritirarsi progressivamente a vita privata, fino a suicidarsi nel 1910.
In tutto questo Macola cedeva la “Gazzetta”, nel 1902, al gruppo di liberali veneziani guidati dal conte Lorenzo Tiepolo (che, per breve tempo, la dirigerà anche in prima persona). Ancora un aristocratico, dunque, deputato della destra e poi senatore: ma stavolta c’è una novità, perché i “tiepolini” rappresentano in verità la fazione più “avanzata” dei conservatori veneziani. Rispetto alla gestione di Macola si tratta di una svolta, che oggi può apparire minima ma che all’epoca sembrò tale da giustificare una vera e propria scissione: l’ala più retrograda della classe dirigente cittadina, che faceva riferimento al conte Nicolò Papadopoli Aldobrandini, ripudiò la secolare testata per fondare nel 1903 “Il Giornale di Venezia”, dove confluirono i redattori della “Gazzetta” – tra gli altri Luciano Zuccoli e Virginio Avi – che non si riconoscevano nella nuova linea di Tiepolo. Il dissidio interno al partito liberale veneziano rimandava, ancora una volta, alla questione dell’alleanza con i clericali, verso cui Tiepolo e soci nutrivano scarso entusiasmo; ma non era certo incomponibile, tanto che già nel 1906 gli “scissionisti” del “Giornale di Venezia” rientravano nella “Gazzetta” e uno di loro, Luciano Zuccoli, ne assumeva addirittura la direzione (mentre la presidenza della Società Anonima Editrice Veneta, proprietaria del giornale, veniva assunta dal conte Papadopoli).
Eppure, all’ombra dell’inaffondabile amministrazione clerico-moderata di Grimani, qualche tensione restava, esplodendo occasionalmente: così nel 1908 per la presentazione de La Nave di D’Annunzio, che la giunta aveva voluto solennizzare come un evento storico per la città. I clericali veneziani, per cui l’opera era sacrilega ed immorale, scatenarono una violenta polemica contro la “Gazzetta” (portavoce, si noti, di un’amministrazione da sempre in ottimi rapporti con la curia), che invece sosteneva l’iniziativa. Come già negli anni precedenti, a dividere l’establishment veneziano era, a prima vista, la questione del rapporto con i cattolici; ma, sullo sfondo, cominciavano in verità a delinearsi due opposte visioni del futuro della città, con una posizione più passatista tutta dedita alla conservazione di Venezia e un’altra più ambiziosa e modernizzatrice, pronta anche a grandi stravolgimenti – come la costruzione di un nuovo porto in terraferma, di cui ormai si discuteva animatamente – pur di garantire all’ex Serenissima un grande futuro marittimo e industriale. Questa seconda tendenza acquistava sempre più corpo, in un gioco di sponde tra un versante politico (il nazionalismo adriatico di Piero Foscari) e uno economico-industriale (l’astro nascente di Giuseppe Volpi e degli imprenditori “elettrici”), con il valore aggiunto di un cantore del calibro di D’Annunzio. I dilemmi, le discussioni, il progressivo prevalere di una delle due parti si riflettevano sulle pagine del giornale della classe dirigente cittadina, riproponendosi anche in campo culturale ed artistico, per esempio nelle polemiche tra i sostenitori della tradizionalista Biennale e quelli delle avanguardie artistiche di Ca’ Pesaro.
Proprio l’ambito culturale era d’altronde quello in cui la “Gazzetta” eccelleva, con collaborazioni di prestigio, specie da quando ne era direttore il romanziere Luciano Zuccoli (di origine svizzera, vero nome Von Ingenheim, l’ennesimo conte alla guida del giornale). Dal punto di vista politico, invece, le rabbiose polemiche di Zuccoli lo spingevano ancora più “a destra” di tutti i suoi predecessori: nell’autunno 1911, allo scoppiare della guerra di Libia, invitò dapprima a fucilare “almeno due terzi” dei prigionieri nemici, poi partì all’attacco di socialisti ed ebrei, nemici interni e “stranieri tollerati”. Ce l’aveva principalmente con il deputato veneziano Elia Musatti, che era socialista, ebreo e contrario alla guerra; ma lo scoperto antisemitismo preoccupò la proprietà del giornale – in cui era presente anche l’imprenditoria ebraica cittadina – che a fine anno non rinnovò il contratto a Zuccoli.
Si susseguono allora alla direzione Mario Pascolato (1912-1914), Luciano Bolla (1914-1917, caduto in guerra) e Virginio Avi (1917-1922). In quegli anni la “Gazzetta” conferma il suo patriottismo, schierandosi nel 1914-15 per l’intervento con più prontezza di quanto non avvenga alla maggioranza dei giornali conservatori italiani, o appoggiando D’Annunzio nell’impresa di Fiume. Tra i collaboratori di prestigio conta d’altronde, oltre allo stesso D’Annunzio, Enrico Corradini (già caporedattore della “Gazzetta” di Macola nel 1900) e Luigi Federzoni. E vicino al nazionalismo è l’uomo destinato a segnare gli ultimi vent’anni di vita del giornale: Gino Damerini, che nel maggio 1922 assume la direzione in sostituzione di Avi, morto di febbre spagnola.
Scrittore, critico d’arte, appassionato studioso di Venezia, Damerini è già alla “Gazzetta” da vent’anni, ma ha avuto anche stretti rapporti con uomini come Pietro Foscari ed Alfredo Rocco; è insomma l’uomo giusto per il definitivo innesto della “nuova destra” veneziana sull’antico ceppo del conservatorismo della “Gazzetta”. Più nazionalista che fascista, Damerini si ritrova a gestire la fascistizzazione del giornale. La “Gazzetta” non aveva avuto con il Fascio delle origini lo stesso rapporto organico del concorrente “Gazzettino”, ma lo appoggiò con convinzione crescente man mano che quello smussava i suoi caratteri “eversivi” per evolversi in un più rassicurante movimento d’ordine; in questo senso giustificò costantemente – anche all’indomani del delitto Matteotti – la violenza squadrista in chiave antisocialista, dissociandosi invece dalle intemperanze delle camicie nere verso altri obbiettivi. Coerentemente alla storia del giornale, insomma, il rapporto tra “Gazzetta” e fascismo crebbe di pari passo con le simpatie mussoliniane delle classi dirigenti veneziane; e una volta che il fascismo fu del tutto istituzionalizzato, abbandonando ogni velleità di sommovimento sociale, “La Gazzetta” soppiantò “Il Gazzettino” come organo del locale Partito Nazionale Fascista.
Nel frattempo il giornale entrava sempre più nell’orbita dell’uomo forte del fascismo veneziano, l’imprenditore Giuseppe Volpi; non casuale dunque l’entusiasmo che la “Gazzetta” dimostrava, fin dai primi anni Venti, per l’avvio del porto industriale di Marghera. Nel 1926 la SADE (la società elettrica di Volpi) acquisisce la Società Anonima Editrice Veneta (cioè la “Gazzetta”), e i giochi sono fatti. Damerini, affiancato dal fidato Elio Zorzi nel ruolo di vicedirettore, diventa allora la “penna” di Volpi a Venezia. Ma proprio l’approdo del giornale alla corte del grande capitalista veneziano, combinato alle crescenti ambizioni di quest’ultimo, preparano le condizioni per l’eutanasia – seppure non immediata – della “Gazzetta”. Volpi, infatti, non può considerare completo il suo controllo sulla città fintantoché non possiede il “Gazzettino”: impresa che finalmente gli riesce, dopo oltre un decennio di tentativi, nel 1939. E, a quel punto, l’antica “Gazzetta” diventa pleonastica. Al di là della considerazione più banale, per cui uno stesso proprietario difficilmente avrebbe avuto interesse a pubblicare due quotidiani nella stessa città (né Volpi avrebbe trovato conveniente rivendere la “Gazzetta” a potenziali concorrenti), si può dire che sia proprio la funzione storica del giornale ad apparire esaurita: ha ancora senso un quotidiano conservatore destinato alle élites colte, in un regime conservatore votato alla propaganda di massa? E in questa seconda prospettiva – che poi varrà, per molti versi, anche nel dopoguerra repubblicano – il “Gazzettino” è strumento assai più utile e potente della “Gazzetta”. La quale, non a caso, risulta da anni in crisi di vendite: le copie sono passate dalle 10.000 di fine Ottocento alle 2.000 del 1940 (negli stessi anni “Il Gazzettino” viagia tra le 100.000 e le 150.000 copie).
La soluzione scelta da Volpi è, alla fine, quella della fusione tra i due giornali: a cavallo tra 1940 e 1941 la storica testata di Gozzi e Chiari viene così declassata – proprio nel giorno del suo duecentesimo compleanno – ad edizione serale di quello che un tempo aveva sprezzantemente definito il “giornale delle serve”, “il beniamino degli analfabeti”. Dimessosi Damerini, la redazione lascia la storica sede di calle Caotorta, a S. Angelo, per spostarsi nel palazzo del “Gazzettino” a S. Salvador. Negli anni ’40 uscirà dunque un giornale col doppio titolo “Gazzettino Sera – Gazzetta di Venezia”; ma della “Gazzetta” rimangono ormai solo il nome (peraltro scritto sempre più in piccolo), il vanto di definirsi “il più antico giornale d’Italia” e la civetteria della numerazione bicentenaria delle annate.

Annotazioni

Piucco abbandona la direzione nel dicembre 1888.

Reperibilità

Biblioteca Nazionale Marciana; Biblioteca Querini Stampalia; Archivio Storico Comunale; Museo Correr; Archivio di Stato

Collocazione

Bnm: Giorn. 14
Bqs: Per. A 1
Mc: Giorn. 2

Consistenza

Bnm: 1866-1945
Bqs: 1866-1945
AcVe: 1866-1931
Mc: 1866-1945

Studi e bibliografia

G. Berchet, La Gazzetta di Venezia. Saggio Storico. Lettera al redattore della Gazzetta di Venezia cav. Paride Zajotti, Tipografia della Gazzetta, Venezia 1875; Indice dei giornali politici e d’altri che trattano di cose locali ricevuti dalla Biblioteca Nazionale di Firenze. 1 luglio 1885 – 30 giugno 1886, Roma 1886, p. 28; N. Bernardini, Guida della stampa periodica italiana, Lecce, R. Tipografia Salentina, 1890, pp. 712-713; Annuario della stampa. Anno III 1919, Roma 1919, pp. 136-137; Alberto Zanotti [Zajotti?], Il più antico quotidiano d’Italia, “Annuario della stampa italiana ed europea”, 1926, pp. 131-136; A. Dresler, Geschichte der italienschen Presse, II, Von 1815-1900, Munchen-Berlin, Verlag Von R. Oldenburg, 1934, p. 107; Ibidem, III, Von 1900 bis 1935, Munchen-Berlin, Verlag Von R. Oldenburg, 1934, pp. 27, 71, 118; G. Avon Caffi, I 200 anni della “Gazzetta di Venezia”, “Il Regime Fascista, 15 novembre 1940; C.G. Marchesini, I due secoli di vita del più antico giornale italiano,“Gutenberg Jahrbuch”, 1941, pp. 217-225; R. Saccardo, La stampa periodica veneziana fino alla caduta della Repubblica, Tipografia del Seminario, Padova 1942; B. Biral, Il tentativo reazionario nel biennio 1898-1900: (La Gazzetta di Venezia), Venezia, Stamperia di Venezia, 1959; M. Reberschak, Stampa periodica e opinione pubblica a Venezia durante i quarantacinque giorni (25 luglio – 8 settembre 1943), “Archivio veneto”, s. V, XCIV (1971), pp. 95-134; S. Cella, Profilo storico del giornalismo nelle Venezie, Padova 1974; G. Boldrin, Aristocrazie terriere e finanziarie all’assalto della stampa (1919-1925), in Giornali del Veneto fascista, nota introduttiva di M. Isnenghi, Padova, Cleup, 1976, pp. 17-76, (con scheda del giornale); I quotidiani della Repubblica sociale italiana, a cura di V. Paolucci, Urbino, Argalia, 1987, pp. 121-124; Biblioteca di storia moderna e contemporanea, Periodici italiani 1914-1919, a cura di M.L. Cavallo e E. Tanzarella, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1989, p. 86; A. Curcione, La Gazzetta di Venezia e l’avvento del Fascismo (1922-1925), Tesi di laurea, Università degli Studi di Venezia, Facoltà di Lettere e Filosofia, Relatore prof. G. Paladini, a.a. 1995-1996; A. Curcione, Gino Damerini giornalista. Gli anni alla “Gazzetta di Venezia” (1922-1940), in La Venezia di Gino Damerini (1881-1967). Continuità e modernità nella cultura veneziana del Novecento. Atti del convegno di Venezia 1-2 dicembre 2000, a cura di F.M. Paladini, “Ateneo Veneto”, CLXXXVII, vol. 38 (2000), pp. 31-85; G. Albanese, “Incidenti”, “tafferugli”, “baraonde” e “conflitti”. La “Gazzetta di Venezia” di fronte alla violenza fascista (1919-1925), in Ivi, pp. 161-178; A. Briganti, C. Cattarulla, F. D’Intino, Stampa e letteratura. Spazi e generi nei quotidiani italiani dell’Ottocento (Catalogo ragionato), Milano, Franco Angeli, 1996, pp. 50-51; M. Isnenghi, La stampa, in Storia di Venezia. L’Ottocento e il Novecento, a cura di M. Isnenghi e S. Woolf, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 2002, vol. III, pp. 1969-2000.

Copia digitale del giornale (dal 1870 al 1940) è consultabile nell’emeroteca digitale della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma.

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